Becoming, la mia storia. È questo il titolo dell’autobiografia di Michelle Obama.
Un libro in cui l’ex First Lady racconta tutto, dall’infanzia ai tempi dell’Università, fino all’incontro con Barack e poi alla grande avventura nella politica.
Da queste pagine emerge chiaramente che Michelle e il marito, pur partendo entrambi da un ceto sociale medio-basso, fossero destinati a un futuro brillante. Perché? Perché dannatamente intelligenti, carismatici e portati per il lavoro e il sacrificio. Con tutta la buona volontà, leggendo il libro, ogni tanto è difficile non considerarli insopportabili nella loro “perfezione”.
Michelle racconta il suo percorso quasi come una passeggiata poco faticosa, forse per un contorto e (onestamente) fastidioso senso del pudore, ma è innegabile che lei abbia sacrificato moltissimo per raggiungere i suoi traguardi e farli raggiungere al marito. E che di attacchi gratuiti ne abbia subiti molti.
Michelle, per più di vent’anni, studia, lavora, punta al successo e al benessere economico ma poi, forse anche grazie all’incontro con il futuro presidente, tutto sembra non bastarle più, inizia a sentire la necessità di fare qualcosa di utile, di lasciare un segno.
Così cambia lavoro, lascia la remunerativa avvocatura per un posto nella pubblica amministrazione, dove guadagna meno, lavora di più ma le sembra di essere più utile alla società e alla città. Nel frattempo Barack si dà alla politica.
Michelle racconta la campagna elettorale e poi il ruolo da First Lady, gli attacchi subiti e le reazioni avute. Non dimentichiamo che si tratta di una donna nera, colta, alta un metro e 80. Un facile bersaglio per i bianchi per cui è sempre troppo: troppo aggressiva, troppo alta, troppo poco femminile. Secondo i loro standard, ovviamente.
Lei studia la comunicazione, guarda i video dei suoi discorsi pubblici per capire dove smussare gli angoli, usa internet e la tv per i suoi scopi, porta i suoi messaggi, cerca di dare un senso al suo ruolo. Del resto, quello della First Lady è un lavoro non lavoro, in cui non si percepisce stipendio ma si deve rappresentare la nazione al meglio, facendo qualcosa per quest’ultima. Cosa? Non si sa. Ogni First Lady decide di testa propria. L’unica certezza è che non si farà mai abbastanza o si farà troppo. E che, comunque, qualcuno avrà sempre da ridire.
Per una non americana come me, sicuramente una lettura interessante perché propone un punto di vista inedito, racconta dinamiche e tradizioni che mi erano del tutto sconosciute e dà voce a una donna che non può passare inosservata.
Per finire: consiglio il libro? Sì.
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